La responsabilità delle figure professionali nei processi d’affermazione dei diritti dell’infanzia

Data:
14 Gennaio 2012

Tra cronaca e legislazione

Riflessioni a margine del convegno “12X21 Bari per i diritti dell’infanzia”, FORUM: “i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nelle professioni educative: formazione – deontologia – identità, nell’ambito di questo Convegno “Educare/Educarsi ai diritti dell’infanzia e dell’adolescenza – 10 / 11 febbraio 2011

di Angela Marrone – Assistente Sociale del Comune di Bari

 

Premessa

I dodici articoli scelti dal corpus dei 54 articoli, sanciti dalla Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia, e da cui si è partiti per intitolare questo evento, rappresentano una fondamentale partenza per tracciare l’identità del bambino “persona” soggetto di diritto con una propria dignità,  cui va dedicata una speciale protezione, ma anche come soggetto essenzialmente connesso col proprio sistema di vita rappresentato dalle figure educative adulte, chiamate ad offrire alla persona in crescita un giusto aiuto per la promozione e realizzazione di se stessa nel rispetto degli altri. Aver posto l’attenzione sul prioritario e superore interesse del minore e sull’obbligo del suo ascolto in tutte le procedure che lo coinvolgono, come enunciato nell’art. 3 della Convenzione sui diritti dei fanciulli di New York nel 1989, ha rappresentato nella condizione dell’infanzia un criterio ispiratore del diritto per i minori e non sui minori. Il bambino, visto nella sua dimensione ecologica, nella sua esistenza di persona, ha come riferimento gli adulti che rappresentano si una fondamentale risorsa, ma nello stesso tempo, consapevolmente o meno, possono anche danneggiarlo.  Atteso che l’attenzione ai bambini è compito di tutti, le figure educative adulte che si propongono nell’arduo compito di prendersi cura, educare, tutelare, e programmare un mondo migliore e a misura della persona-bambino, non fanno altro che aiutare se stessi-adulti a cambiare. Ecco che le professioni educative e, nello specifico quella dell’assistente sociale, devono affrontare la sfida che il mondo dell’infanzia offre loro  per mettere a confronto le diverse professionalità e valutare sia gli aspetti tecnici che deontologici. Ciò al fine di avviare una proficua ed approfondita collaborazione costruttiva tesa a porsi interrogativi su cosa di più o diverso si può e si deve fare per promuovere nell’interesse del minore il suo benessere, perché i bambini rappresentano il futuro di ogni società, che quando riesce a dare loro ascolto, benessere, aiuto, sostegno, integrazione, autonomia  può crescere ed evolvere nel suo complesso. Nella relazione d’aiuto il prendersi cura del fanciullo, concetto che ha in sé i principi di reversibilità e reciprocità, aiuta il mondo educativo adulto a prendersi cura di sé e viceversa.

Noi “adulti esperti” dovremmo, così, riflettere che si può garantire una vera tutela al bambino solo se, partendo dalla piena chiarezza e consapevolezza della nostra identità professionale, meditiamo sui valori e principi, ben enunciati nel codice deontologico/etico, e che ispirano il compito che ciascun professionista deve svolgere nell’interesse del minore.

E’ per tali ragioni che il percorso formativo delle diverse figure educative, ed anche dell’assistente sociale, giocando tra arte, scienza e coscienza, deve essere sostenuto attraverso interventi costanti di supervisione e di crescita della competenza relazionale professionale, partendo da una buona conoscenza di sé. La responsabilità professionale, infatti, non può prescindere dal grado di responsabilità personale che gli adulti mostrano nell’interazione con il bambino nell’ambito dello svolgimento della professione di pubblica utilità e al servizio del benessere comune.

La partecipazione a questo forum mi ha dato la possibilità di riflettere, in momenti lontani dall’eco di situazioni concrete, con maggiore chiarezza ed analisi sul mio agire professionale, che svolgo da circa quindici anni nel ruolo di assistente sociale presso il Comune di Bari e sulla complessità che comporta in sé l’essenza e l’esercizio della tutela.

La riflessione su cosa di più o di diverso si può fare e si deve fare nell’esercizio dell’attività professionale per la tutela dell’infanzia comporta necessariamente una chiarezza su alcuni concetti fondamentali e che attengono al nostro quotidiano professionale: professione, identità, responsabilità, deontologia, etica e formazione.

Nel corso della mia esperienza ho potuto riscontrare che l’assistente sociale nell’attivare interventi di tutela e di protezione delle persone minori o no, che vivono una condizione di fragilità, di disagio, si trova molto spesso ad intervenire su situazioni ad alta complessità per il sovrapporsi di diverse dimensioni che rendono complessa, difficile e, talvolta, in contrapposizione, l’azione professionale, vivendo essa stessa una condizione di fragilità e di solitudine. Molto spesso la concomitanza di eventi che vedono in sé la necessità di garantire la tutela civile, quando si deve intervenire su situazioni in cui si manifesta un’incapacità genitoriale, e la tutela penale, quando il minore appare come possibile vittima del reato, rendono ancora più complessa l’azione, laddove ci si deve confrontare anche con il sistema giudiziario e quello amministrativo. Questo presuppone nell’attività dell’assistente sociale la capacità di equilibrio e di interazione tra i vari elementi, in considerazione del fatto che occupandosi del minore, quale soggetto fragile, è necessario trovare un punto di incontro e di sintesi nell’assolvere al proprio compito istituzionale, quale il benessere comune.

“Le storie trattate sono segnate da dolore e sofferenza; adulti ancora “bambini” che non riescono a proteggere se stessi, figuriamoci un figlio, adulti traumatizzati che riescono a ri-produrre con i loro figli solo relazioni disfunzionali segnate da patologia, dolore e sofferenza, che difficilmente la società è pronta a capire, come prodotto ed esito delle tante solitudini e fragilità che essa stessa produce. Società che tanto meno riesce a riconoscere ed accettare vicende la cui crudeltà spaventa e spinge ad interrogarsi sul perché e su quanto sia sottile il confine tra ciò che è considerato normale e ciò che è invece malato. La garanzia di riuscita di un progetto di aiuto è tanto più ampia quanto lo è la condivisione del progetto da parte dell’utente e di tutti i soggetti coinvolti; questa condivisione, non automatica, la si conquista giorno dopo giorno, man mano che la persona comprende chi ha davanti, cosa può e deve essere fatto insieme, attraverso graduali passaggi, che in caso di particolare urgenza-emergenza e di fronte alle richieste dell’autorità giudiziaria, non vengono rispettati. A tal proposito, l’assistente sociale non può farsi carico di interventi che siano in contrasto tra loro e che hanno il delicato ed importante obiettivo di ricostruire-ricucire-rimediare; compito che può essere realizzato se trova solo terreno di fiducia, indispensabile per affrontare situazioni molto spesso segnate da rabbia,dolore, sofferenza e sfiducia profonda anche nelle istituzioni”.

In queste situazioni è necessario che l’assistente sociale debba avere una chiarezza e consapevolezza della propria identità professionale, della propria responsabilità nei confronti: dell’utente, delle altre figure professionali e delle istituzioni dove presta la propria attività professionale.

L’intervento di tutela attivato dall’assistente sociale in un contesto culturale, sociale e politico che vive una crisi profonda può rappresentare un vero rischio per il minore  e per lo stesso professionista, il quale diventa il vero capro espiatorio. In talune circostanze l’assistente sociale può essere tacciato di essere poco presente oppure, al contrario, esserlo troppo. Questo atteggiamento, se da un lato rassicura chi vuole essere tranquillizzato, dall’altro contribuisce a distorcere l’immagine del professionista a cui le persone dovrebbero rivolgersi per chiedere aiuto, con il risultato che le richieste ai servizi arrivano quando i problemi sono ormai cronici e deteriorati, tanto da rendere inevitabile l’intervento estremo di tutela. Nel professionista, quindi, si alimentano così vissuti di profonda solitudine e di onnipotenza in quanto lasciato da solo nel compito di garantire la salvaguardia dei diritti dei soggetti deboli.

La crescente attenzione data dalla normativa internazionale alla centralità della posizione del minore per una migliore promozione  dei suoi diritti, rappresenta un vero cambiamento culturale in quanto ci si è spostati dal concetto di tutela a quello di responsabilità. Infatti, nell’ambito della famiglia, si parla di responsabilità genitoriale in sostituzione del concetto di potestà,  e di responsabilità sociale per le professioni che si occupano di tutela del minore.

“L’intervento di tutela costituisce un elemento fondamentale delle politiche sociali, nelle quali l’assistente sociale rappresenta la figura professionale centrale; pensare ad interventi di tutela vuol dire rispondere al bisogno di sicurezza e benessere espresso dai cittadini, benessere non solo inteso nella sua accezione individuale, ma anche in quella più ampia che riguarda tutta la collettività”.

La valutazione degli interessi del minore in una società che vive una rapida trasformazione sotto il profilo istituzionale, economico e politico acquisisce un significato diverso laddove l’agire della figura dell’assistente sociale, difficile e poliedrico, si inserisce in scelte politico-amministrative, provvisorie e poco lungimiranti, dell’ente locale di appartenenza.

“Gli enti locali sono stati individuati dalla legislazione in materia, da ultimo dalla legge 328/2000, quali depositari di un mandato sociale volto alla predisposizione di progetti integrati e finalizzati al fine di sostenere le persone per aiutarle ad uscire dallo stato di bisogno, per ritrovare una situazione di maggiore equilibrio e benessere. La crisi del concetto di collettività quale soggetto di intervento delle politiche sociali, rischia di vanificare un percorso che ha sempre attribuito al miglioramento del benessere sociale della collettività la dimensione ideale in cui sviluppare e tessere la rete di protezione del singolo individuo. Il rischio è quello di guardare al bisogno ed alla risposta da dare come fatto individuale che solo in questa dimensione può trovare una soluzione o la migliore risposta”.

Le scelte etiche degli assistenti sociali sono spesso al centro di interessi contrapposti: le funzioni del servizio sociale sono allo stesso tempo di aiuto e controllo, dove esiste un conflitto tra il dover essere dell’assistente sociale nel proteggere gli interessi dei propri assistiti e la richiesta di efficienza ed efficacia dell’istituzione.

Altro nodo critico vissuto dall’assistente sociale nell’esercizio delle proprie funzioni all’interno dell’ente locale è l’identificazione della professione con il sistema dei servizi sociali; ciò risulta fortemente penalizzante per l’assistente sociale che viene unicamente connotato, in situazioni che richiedono ad esempio l’allontanamento del minore dalla famiglia, come unica figura responsabile di tale intervento, che, invece, è il prodotto di tutto un lavoro di equipe.

“Su questo incidono molteplici fattori, non ultimo il diverso riconoscimento sociale delle professioni, ma senz’altro gioca per il servizio sociale anche questa sorta di sovrapposizione tra competenza/responsabilità dell’ente e del professionista, dovuta al fatto che la professione ha assunto una sorta di mandato dalle istituzioni. Il gap esistente tra immagine professionale e identità pone l’interrogativo di come poter superare l’identificazione attuale della professione che si muove tra due poli: da un lato come specchio per i cittadini dell’inefficienza dei servizi alla persona e delle istituzioni, e dall’altro, a volte, specchio delle marginalità di cui si fa carico. Gli assistenti sociali esercitano una professione che si muove nei conflitti e che rappresenta gli interessi di chi si trova in difficoltà relazionali e sociali. Ciò pone la necessità di praticare un agire etico, requisito essenziale della qualità del servizio offerto alle persone che ne fruiscono”.

La professione dell’assistente sociale, in quanto professione intellettuale, proprio per la sua peculiare formazione culturale, scientifica e tecnica, ha un corpus di conoscenze, di principi e di valori, disciplinati da un proprio codice deontologico, e caratterizzati dall’autonomia decisionale nella scelta delle modalità di intervento e dalla responsabilità diretta e personale sul proprio operato. “E’ un agente morale, una persona che compie scelte di natura etica poiché il suo agire è condizionato, ma non interamente dal contesto, dal cliente, dalle prescrizioni, dall’organizzazione del lavoro. Egli agisce continuamente una sintesi tra valori, norme morali e giuridiche, deontologia professionale, cultura e situazioni contingenti. Il concetto di responsabilità rappresenta il filo conduttore dell’articolazione dell’esercizio professionale, come si evince dall’analisi del codice deontologico. La professione s’imbatte spesso in situazioni critiche, spesso molto differenti tra di loro che necessitano di scelte comportamentali spesso determinanti per l’utente. Sono dilemmi etici che implicano la presa di decisioni, dove l’assistente sociale, è chiamato a servire il miglior bene possibile per la persona e a rispondere con competenza, pertinenza, responsabilità e tempestività. Tali dilemmi presuppongono e richiedono una riflessione estesa e complessa, una conoscenza della metodologia, degli strumenti e di linee guida, per essere affrontati e risolti”; inoltre, da una grande capacità di saper riconoscere e decodificare il reale bisogno della persona  fragile minore o adulta che sia.

La professione si connota come il prendersi cura di qualcuno per qualcosa, ed implica un legame interpersonale. La responsabilità professionale riguarda l’obbligazione del professionista nel porre in essere un’attività strumentale al perseguimento dell’interesse dell’utente: infatti, così come citato negli artt. 11 e 12 del codice deontologico l’assistente sociale deve poter impegnare la sua competenza professionale per promuovere  la piena autodeterminazione degli utenti, la loro potenzialità ed autonomia in quanto soggetti attivi del progetto di aiuto; deve dare la più alta informazione dei suoi diritti sui vantaggi-svantaggi, impegni, risorse, programmi e strumenti dell’intervento professionale e per il quale deve ricevere il consenso.

Per tutelare gli interessi dei cittadini di fronte alla prestazione professionale, l’ente locale deve garantire una formazione continua dell’assistente sociale anche attraverso la supervisione: in quanto gli aspetti di responsabilità del professionista, che mette a servizio della collettività la sua competenza, si confrontano continuamente con la sua azione professionale.

Competenza professionale che, però, non può essere solo il risultato di un percorso formativo accademico ma deve essere l’acquisizione di una competenza relazionale professionale, partendo da una conoscenza consapevole e lucida che il professionista deve avere di sé per poter riconoscere in sé stesso vissuti emotivi, dinamiche relazionali ed esperienze esistenziali per poter meglio cogliere, accogliere e farsi carico della sofferenza dell’altro; ciò al fine di individuare e saper valutare il problema ed elaborare un rispondente progetto individualizzato.

Aspetti importanti che non dovrebbero essere sottovalutati in virtù del fatto che l’assistente sociale nella costruzione del processo di aiuto promuove le risorse personali e favorisce la consapevolezza, la responsabilità e il cambiamento della persona.

Nella misura in cui la società degli adulti riuscirà a garantire consapevolmente e  responsabilmente la tutela della propria identità professionale ed educativa, allora sarà in grado di affermare e tutelare i diritti dell’infanzia e viceversa.

Tutte le professionalità coinvolte a diverso titolo nella tutela dell’interesse del minore hanno una responsabilità sociale, e hanno il dovere di interrogarsi e confrontarsi, ognuna nella propria specificità, su obiettivi condivisi al fine di ridurre le zone d’ombra, le sovrapposizioni e le contrapposizioni dei vari ruoli professionali rappresentati, in modo che la lettura di ogni intervento possa ricondurre ogni singolo agire in una reale ottica di condivisione dell’obiettivo comune: la tutela di un soggetto debole.

La tutela dei minori è un problema vitale per la comunità locale in quanto da essa dipende la qualità della convivenza democratica di una comunità, in quanto capace di rispettare e promuovere i diritti di tutti i suoi cittadini ed in particolare del minore cui sono oramai riconosciuti diritti propri ed importanti. La responsabilità nella tutela e nella promozione dei diritti deve passare attraverso la promozione di una politica dell’educazione, dove la responsabilità educativa dell’ente locale deve essere in sinergia con le scelte politiche.

A questo punto sono molteplici gli interrogativi che emergono e che richiederebbero una approfondita riflessione. Con forza e impellenza:

  • Con quale Politica del Welfare lo Stato intende garantire la reale esigibilità dei diritti dei minore che rappresentano il futuro, tenuto conto che i tagli previsti nel bilancio del fondo sociale della finanziaria implicano la demolizione del sistema del welfare? e, quindi, i livelli essenziali ai minori non potranno essere garantiti.
  • Con quali risorse finanziarie gli enti locali riusciranno a garantire tutta la rete dei servizi alla persona già costruita per sostenere, promuovere il benessere di tutte le persone coinvolte, minori e non?
  • In tale contesto come l’ente locale potrà farsi garante dell’intera vita della collettività e del bene pubblico?

Se tale è lo scenario, credo che la sfida che posso augurare a me e a tutte le figure educative adulte che si propongono nell’arduo compito di prendersi cura, educare e tutelare il mondo dell’infanzia, è quella di continuare a promuovere interventi di tutela, ponendosi in un ottica di continuo apprendimento critico.

Mi piace concludere citando la riflessione che un poeta rumeno del ‘900, Tudor Arghezi, ha fatto su di sé e sulla sua grande passione che è la scrittura.

“Scrivo da quarant’anni, ma debutto ogni giorno, come la prima volta. Sono uno scolaro eterno. Meno di uno scolaro, sono un ripetente” .

Ultimo aggiornamento

14 Gennaio 2012, 22:01