Il servizio sociale ai tempi della crisi
Data:
28 Aprile 2009
La generale situazione di crisi economica sta producendo i suoi effetti anche sulle politiche sociali. I sistemi di welfare tendono ad elevare i livelli di prestazioni non solo come ammortizzatori sociali per la perdita dell’occupazione ma anche come forma di contenimento delle dinamiche di disgregazione familiare e sociale. Si tratta di una ridefinizione in parte orientata dalla politica, in parte indotta dagli stessi cittadini in situazione di disagio che si rivolgono alle istituzioni per ottenere un aiuto. Nei nostri Comuni stiamo osservando l’aumento sensibile delle domande di assistenza economica di famiglie in difficoltà a modificare repentinamente stili di vita e di consumo, incapaci di far fronte a bisogni primari e quotidiani. Ma l’incremento della domanda sociale lo si registra anche nei servizi a domanda individuale. La riduzione del reddito, infatti, ha l’effetto di allargare sempre più la fascia di aventi diritto ad altre prestazioni assistenziali e socio-sanitarie, richiamando nel pubblico-gratuito anche chi, fino a poco tempo fa, poteva far ricorso al privato sociale o contribuiva in parte al costo delle prestazioni: è il caso degli asili nido, dell’assistenza domiciliare, del turismo sociale, etc. I decisori delle politiche sociali sono quindi chiamati a fare scelte non affatto scontate, che si misurino con l’emergenza e con le risorse disponibili ma non restringano la visione prospettica dei servizi sociali. Non è remoto, infatti, il rischio della polarizzazione degli interventi sociali sulle forme di contrasto alla povertà attraverso l’erogazione di sussidi economici, qui attraendo la gran parte delle risorse disponibili, perché le paventate difficoltà sociali legate alla mancanza di reddito alimentano timori e, parimenti, deformano le percezioni del disagio sociale. L’esigenza di arginare la povertà spingerà verso la (demagogica) semplificazione dell’aiuto sociale, schiacciando il servizio sociale in un ruolo assistenzialistico, di mera erogazione di prestazioni economiche, ovvero di casework palliativo. Così in questo clima di “emergenza sociale” i servizi a “risposta immediata” rischiano di soppiantare quelli preventivo-promozionali, sui quali tanto è stato investito negli anni passati per costruire condizioni di benessere comunitario e livelli di azione solidaristici che, invece, oggi più che mai potrebbero giocarsi un ruolo forte di contenimento e supporto sociale. Progetti di sensibilizzazione all’affido familiare, ludoteche, azioni positive per i diritti, centri per le famiglie, iniziative ludico-ricreative, mediazione, potrebbero essere visti come “lusso” insostenibile. In questo quadro di prospettata riduzione degli interventi, registriamo anche la preoccupante denuncia di tutti i colleghi degli Uffici di servizio sociale per Minorenni, del Ministero della Giustizia, che raccogliamo e facciamo nostra. Il taglio indecente dei fondi della giustizia sta impedendo la normali attività dei servizi specialistici sia relative alla conoscenza delle situazioni personali e familiari sia relative alle progettualità successive. In questo contesto sarà più “comodo” eseguire pene che progetti di recupero, dimenticando lo spirito riabilitativo del processo penale minorile centrato sulla specificità dei bisogni evolutivi. Sicuramente nel caso della giustizia insistono anche altri fattori d’ordine politico, piuttosto che la mera crisi economica e le esigenze di riduzione e contenimento della spesa delle amministrazioni. Il problema comune, invece, è quello di ritrovarsi proiettati a breve in un sistema di servizi incapace/inadatto a far fronte alla complessità dei problemi sociali perché tarato su modalità di risposta orientate al sintomo e al contenimento formale e sommario. Verosimilmente la crisi economica, rischia di travolgere e impoverire i servizi sociali con riverberi inevitabili sull’identità professionale degli assistenti sociali. Su tale dimensione è improrogabile una riflessione approfondita.
Ultimo aggiornamento
2 Ottobre 2017, 17:18