La relazione d’aiuto tra diritto all’autodeterminazione, tutela dei soggetti deboli e sostegno alla rete familiare

Nel nostro Paese, e certamente non solo in esso, va irrigidendosi una contrapposizione tra le posizioni di natura religiosa, e le posizioni di natura laica

L’ antitesi riepiloga perfettamente l’alterità di una visione rispetto all’altra – in un caso è prioritaria la sacralità della vita, nell’altro la dignità della vita stessa – ma rischia di ingabbiare la questione bioetica, e più in generale il “dibattito sulla vita”, entro schemi rigidi.

Diciamo che la definizione di ‘bioetica’ si rifà ad un ampio pluralismo di posizioni teoriche e pratiche nell’elaborazione delle conoscenze bioetiche.

Si deve registrare che tali posizioni si comparano con le dinamiche proprie delle scienze e delle tecniche in rapida evoluzione, e possono innescare dei processi di formazione dell’opinione pubblica, in cui interviene il sistema mass- mediatico , che sempre più si interessa di bioetica a livello quotidiano. Basti pensare al tanto parlare, che si è fatto intorno al ‘caso Welby e Luana.

In realtà, i problemi che si è chiamati ad affrontare, i giudizi che si devono formulare, le conseguenze che si devono sostenere, oggi richiedono tutta una serie di mediazioni e comportano la messa in gioco dei soggetti e la loro formazione.

Infatti l’affermazione dei modelli etici si ha nell’impatto con i problemi, in cui si esercitano le diverse figure professionali e non senza collegamenti ad appartenenze ideologiche.

Le scoperte neuroscientifiche degli ultimi decenni, le loro molteplici applicazioni e le conoscenze acquisite sul DNA presuppongono l’introduzione dell’alta tecnologia nella vita umana e nella medicina. Basti pensare alle tecnologie biomediche (risonanza magnetica funzionale, la PET o tomografia ad emissione di positroni, ecc.) e alle biotecnologie.

Le domande della bioetica ruotano attorno a tre questioni fondamentali: il rapporto fra la medicina, la tecnica e la dignità dell’uomo ed il problema ecologico, e la bioetica animale, che affronta i problemi legati alla sperimentazione, alla vivisezione, agli xenotrapianti.

La ricerca genetica, la farmacogenetica e la farmacogenomica, la ricerca con esseri umani, gli sviluppi della biochimica e della biologia molecolare sono espressione del progresso medico e scientifico, ma destano anche numerosi interrogativi bioetici sulla vita umana. Chi è persona? Come «definire» la persona? Quali sono i suoi caratteri distintivi e originari? Che cosa significa rispettare la dignità dell’uomo? Qual è l’ordine dell’essere e degli enti? Le domande etiche, amplificate dai mezzi di comunicazione, esigono altrettante risposte, soprattutto sul piano etico e clinico.

La bioetica è certamente il luogo in cui si condensano conflitti radicali che rispecchiano diverse concezioni sul senso profondo da attribuire all’esistenza, alla libertà umana, ai limiti e alle finalità della scienza medica.

Da ciò deriva la consapevolezza dell’importanza del confronto interdisciplinare, finalizzato alla comprensione critica della realtà ed orientato al rispetto della dignità e della verità integrale dell’uomo.

Di bioetica si occupano, a vario titolo, giuristi, politici, medici, filosofi morali e biologi.

Possiamo definire la bioetica, come la scienza che regola il comportamento umano nel settore della vita e della salute; guidato da valori e da principi morali universali

Il progresso tecnologico, se ha aumentato considerevolmente le nostre possibilità diagnostiche e terapeutiche, ha accresciuto in modo imprevedibile le responsabilità morali del personale sanitario e sociale il quale si trova sempre più spesso a dover rispondere all’interrogativo se sia moralmente lecito porre in atto ciò che è diventato tecnicamente possibile.

Oggi nelle Università la prospettiva etica viene posta a confronto sistematico con le scienze biologiche, mediche, giuridiche, filosofiche e teologiche.

L’ambito della bioetica comprende non soltanto la trattazione di temi relativi ai recenti progressi della biologia – come la fecondazione in vitro e l’ingegneria genetica -, ma abbraccia anche i temi tradizionali di etica medica, quali l’aborto, la sterilizzazione, l’eutanasia, la sperimentazione dei farmaci, il consenso del paziente, ecc

La bioetica è diventata un movimento intellettuale importante in tutti i Paesi, ha appassionato il pubblico, le Università hanno istituito Centri o Cattedre di bioetica, e i problemi bioetici come l’aborto, l’eutanasia, l’ingegneria genetica sono frequente oggetto di discussioni nei mass-media e nella stampa quotidiana.

Negli ultimi decenni vi è stata nel nostro paese una crescita di eccellenti opere di bioetica scritte da illustri teologi moralisti cattolici. Ma in tutte queste opere non è difficile rilevare che gli aspetti filosofici e biologici hanno la meglio sugli aspetti clinici.

Nella società moderna, soprattutto nel quadro urbano – industriale il diffuso senso di immortalità che la tecnologia e le continue scoperte scientifiche ci portano ad avere, si traduce in un ripudio verso tutto quello che smentisce questa credenza, prime fra tutte la malattia e la morte

Le tecniche mediche sempre più sofisticate hanno portato alla sconfitta di molte malattie, ma hanno anche diffuso la credenza che bisogna riuscire a guarire tutto e tutti, centrando così l’attenzione più sul piano fisico che su quello morale

La società nella quale viviamo, soprattutto quella urbana, cerca in ogni modo di occultare la malattia e la morte, delegando l’assistenza dei morenti alle strutture ospedaliere e circoscrivendo il più possibile il lutto sia temporalmente sia spazialmente.

Questo perché la morte, più di ogni altro evento, scatena nell’uomo una serie di emozioni forti e contrastanti, mettendolo di fronte ai suoi limiti e suscitando in lui tutta una serie di interrogativi per i quali, il più delle volte, non esiste una risposta certa

 

Prima di entrare nel merito del discorso di Bioetica e Servizio Sociale è opportuno fare qualche accenno alla professione dell’assistente sociale, ai principi ed ai valori ispiratori, agli atteggiamenti professionali.

Il valore è l’ideologia di fondo che caratterizza una determinata disciplina; l’orientamento operativo che scaturisce da un determinato insieme di valori si definisce principio.

Solitamente “ i valori pongono le loro radici negli ideali profondi che caratterizzano la vita di una comunità, ed in seguito si sviluppano in relazione ai diversi momenti storici e ai cambiamenti culturali

 

Tali principi sono

  • Il Principio di Accettazione
  • Il Principio dell’ unicità della persona e quindi  personalizzazione e Individualizzazione degli interventi
  • Il Principio di Autodeterminazione
  • Il Principio del Rispetto e della Promozione dell’Uguaglianza
  • Il Principio del Rispetto e della Promozione della Globalità
  • Il Principio della Riservatezza e/o Privacy e del Segreto Professionale

 

Tutti questi valori rientrano perfettamente nell’argomento specifico dell’assistenza alla persona sofferente.

Il rispetto della dignità personale dell’individuo anche quando la vita è al termine è il principio guida fondamentale, senza il quale qualsiasi intervento sarebbe perso in partenza.

Un atteggiamento di accettazione è condizione indispensabile per l’instaurarsi di un rapporto di fiducia e rispetto tra le due parti; la persona che non si sente accettata non sarà neanche disponibile alla comunicazione con l’operatore.

La capacità di concepire l’uomo “come persona, e come tale dotata di una sua individualità ed unicità è il primo passo per riuscire a considerare i suoi diritti inviolabili

L’assistente sociale deve considerare e accogliere la persona come “unica e distinta da altre analoghe situazioni” e deve saperla collocare “entro il suo contesto di vita, di relazione e di ambiente”.

È essenziale tener presente, appunto, che la persona vive all’interno di una fitta rete di relazioni tra diversi sistemi e che è, quindi, in stretto contatto con concetti di interdipendenza e continuità.

Pertanto il compito dell’assistente sociale è quello di cercare di ricostruire tali legami per ricomporre prima di tutto l’unitarietà della persona.

Il professionista deve tendere a riconoscere e valorizzare l’utente-cliente e presuppone una nuova visione dell’intervento che non si incentra sulla cura della patologia, ma sul potenziamento di funzioni – individuali e sociali – di apprendimento sociale, sostenendolo nell’uso delle risorse proprie e della società.

In tal caso l’assistente sociale si ritrova a dover svolgere una funzione di raccordo e connessione di risorse.

 

La riflessione bioetica delle funzioni sociali

 

Il Servizio Sociale rappresenta un modello operativo pluridisciplinare:

approccio socio – relazionale:

persona – contesto di vita

 

L’approccio socio – relazionale è inteso quale sintesi e arricchimento tra diritti e cura:

il malato soggetto di diritti e persona inserita in una rete di relazioni

 

L’intervento sociale nei percorsi di cura

1. Ascoltare il malato con empatia.

2. Gestire la comunicazione col malato

3. Accompagnare il malato versa la propria autodeterminazione

4. Lavorare per progetti assistenziali e non per prestazioni

5. Ricucire la frattura relazionale tra pazienti-familiari sistema sanitario

 

Il malato ed il morente in particolare, esprime due tipi di bisogni: il bisogno di essere curato e il bisogno di sentire che qualcuno si prende cura di lui.

Nella lingua inglese, a differenza di quella italiana, queste due azioni vengono indicate con due verbi diversi: to cure, ovvero il curare, e to care, cioè il prendersi cura.

Nella realtà, però, la maggior parte delle volte riceve soddisfazione solo il bisogno di essere curato che il malato esprime, mentre il bisogno di qualcuno che si prenda cura viene sottovalutato e passa in secondo piano.

Il paradosso sta nel fatto che di fronte alla morte gli operatori possono curare ben poco ed anzi, spesso questa maggiore attenzione al cercare di guarire sfocia in un vero e proprio accanimento terapeutico: si vuole sconfiggere il male ad ogni costo, anche a patto di dare al malato sofferenze atroci. Tutto questo molte volte è inutile, in quanto non serve né a sconfiggere il male, né a migliorare la vita del malato, ma solo a prolungargli le sofferenze.

La cosa più utile che si può fare quando “ non c’è più niente da fare “ è proprio il prendersi cura della persona cercando di rendere la fine della sua vita il più serena possibile.

In effetti, questo è anche quello che più spesso i malati chiedono. Essi sanno, capiscono l’impossibilità di guarire, e domandano l’unica cosa che può rendere meno penosa la loro morte: il fatto di essere considerati uomini e donne fino alla fine e di essere trattati come tali, di poter comunicare parole ed emozioni, di essere padroni del loro corpo, di sapere, capire, decidere sulle cose riguardanti la loro vita, di dare e ricevere affetto.

L’assistente sociale, unitamente all’équipe, deve essere in grado di percepire questa richiesta e di tradurla in una risposta concreta.

“ Guarire a volte, sollevare spesso, consolare sempre “(Sebag – Lanoe Renée); questa massima esprime il concetto chiave del prendersi cura, che non significa arrendersi alla  morte, ma prendere atto del fatto che la scienza non può scavalcare il naturale corso della vita, non può impedire la morte. Ad un certo punto la scienza deve cedere il posto a quello che solo la capacità umana sa fare, e cioè il sollevare e il consolare.

Rita Lemme

Ultimo aggiornamento

27 Agosto 2012, 19:12