Emergenza suicidi negli Istituti Penitenziari pugliesi
Data:
15 Febbraio 2022
“Non vi è libertà ogni qualvolta le leggi permettano che in alcuni eventi l’uomo cessi di essere persona e diventi cosa”, così citava C. Beccaria nella sua opera “Dei delitti e delle pene”. Affrontare e vivere una detenzione (lunga o breve che sia non fa differenza), aumenta il divario che separa chi ha commesso un reato da un’esistenza normale. Limita non solo nella libertà, ma interrompe spesso rapporti umani, familiari, sociali. Se la realtà detentiva non viene affrontata con l’aiuto e la professionalità di chi ha competenza nel prendersi cura e carico dei detenuti, può causare danni molto gravi, spesso irreparabili. Emarginazione sociale e deterioramento della personalità potrebbero essere i problemi più rilevanti di ogni forma di istituzionalizzazione, provocano, lo ricordiamo effetti importanti a livello psicologico, ma anche intellettuale e interpersonale.
Il dato recente di Antigone nazionale descrive con i numeri un’emergenza che purtroppo è evidente.
Dodici suicidi in quaranta giorni, uno ogni tre giorni. Questo il pesante bilancio che dall’inizio del nuovo anno interessa gli istituti di pena italiani. E due di questi sono avvenuti proprio nella nostra Regione, precisamente a Brindisi e a Foggia.
Un 22enne marocchino, giunto in carcere alle ore 21 dell’11 gennaio e morto suicida alle 5.50 del mattino successivo il primo. Giovane anch’egli e affetto da problemi psichiatrici il secondo, morto solo tre giorni prima.
Nel 2021 i suicidi sono stati 54, nel 2020 ben 62, quasi come il triste record di 69 suicidi del 2001. Continuando con questo tasso si arriverebbe a più di 100 suicidi in un solo anno.
“Nella maggioranza dei casi si tratta di persone giovani – spiega l’avvocato Ilaria Piccinno di Antigone Puglia – che si trovano a scontare pene detentive assai brevi o misure cautelari per reati minori, e per le quali il contatto con la realtà carceraria costituisce un trauma insuperabile”.
La situazione negli istituti di pena è drammatica. “Covid, sovraffollamento, aumento delle patologie psichiatriche, carenza di personale, lavoro e formazione professionale dei detenuti ai minimi storici – aggiunge l’avvocato Piccinno – non possono che rappresentare un mix esplosivo pronto a presentare il conto”.
Se i contagi per covid erano appena 200 all’inizio di dicembre 2021, il report settimanale del Dap del 7 febbraio parla di 2.987 contagi, quasi il triplo rispetto ai dati di inizio anno, quando i positivi erano 1.057. Il numero è certamente destinato a salire considerando che, rispetto all’ondata esterna, le statistiche hanno dimostrato che l’innalzamento dei numeri dei contagiati all’interno delle carceri si registra con un lieve ritardo. Inoltre – precisano da Antigone Puglia – non c’è ancora una copertura completa di vaccinati con terza dose, e soprattutto la dotazione attuale di sole 6.000 mascherine FFp2 rappresenta un’offesa in termini di riduzione del contagio. Vi è di più. Il costante monitoraggio all’interno degli istituti di pena ha fatto emergere che attualmente non è garantita “la possibilità di separare positivi e negativi per l’assenza di spazi dove spostare proprio chi risulta contagiato. Inoltre, in altri casi, pare che le direzioni abbiano smesso di fornire mascherine nuove ai reclusi”, come fa sapere il Presidente di Antigone Patrizio Gonnella. La nota positiva riguarda il fatto che quasi tutti i contagiati sono asintomatici e solo per pochi si è reso necessario il ricovero presso strutture ospedaliere esterne al carcere.
Riguardo ai numeri della popolazione detenuta la situazione non è certo migliore. “Le persone ristrette sono ad oggi sopra i 54.000, meno dei 61.000 detenuti presenti a febbraio 2020, ad inizio pandemia – prosegue Ilaria Piccinno – ma comunque ben oltre la capienza regolamentare di 50.000. A questi tassi di sovraffollamento non corrisponde una presenza capillare di personale. Dai dati raccolti dall’ Osservatorio nazionale di Antigone durante le visite negli istituti di pena durante il 2021, è emerso che solo il 44% degli istituti ha un Direttore incaricato solo in quell’istituto, e che ogni 100 detenuti sono in media disponibili solo 8 ore di servizio psichiatrico e 17 di servizio psicologico, e che il 26% dei detenuti ha fatto uso di stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi”. Il disagio psichico e sociale era alto già prima della pandemia, ma a partire dal febbraio 2020 gli episodi di autolesionismo hanno raggiunto livelli come mai era successo negli ultimi venti anni.
Per fare abbassare l’asticella di questi impietosi numeri, bisognerebbe innanzi tutto concedere realmente le misure alternative alla detenzione a quelle migliaia di detenuti che attualmente hanno una pena da scontare al di sotto dei tre anni, e al contempo fare in modo che l’ingresso in carcere in fase cautelare costituisca solo l’extrema ratio delle misure possibili. Altresì creare, e dove c’è, potenziare la rete di servizi esterni che possano permettere alla persona detenuta di attuare il reinserimento sociale previsto dalla nostra costituzione, al fine di prevenire certamente il rischio di recidiva.
Diversi studi compiuti sulle conseguenze della permanenza dell’individuo sia in carcere che in altre istituzioni totali, denunciano gli effetti negativi che tali regimi esercitano sullo stato mentale dell’uomo.
In modo specifico sono sei gli effetti che potrebbero scatenarsi nel corso della permanenza detentiva: l’erosione dell’individuo con danno della capacità individuale di pensare ed agire in maniera autonoma, la perdita dei valori e delle attitudini che il soggetto aveva prima dell’ingresso in carcere, l’incapacità di adeguarsi, danni fisico psicologici, isolamento e carenza di interazione con gli altri detenuti, riduzione degli stimoli con adattamento obbligato alla povertà dell’ambiente fisico che circonda l’individuo.
“Sarebbe pertanto auspicabile – continua l’avvocato Piccinno – perseguire la strada delle riforme sempre caldeggiata da Antigone e proposta di recente anche dalla Commissione per l’innovazione del sistema penitenziario, voluta dalla Ministra della Giustizia Marta Cartabia e presieduta dal Prof. Marco Ruotolo, ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università Roma Tre, nella cui relazione finale è previsto in modo pragmatico di procedere alla revisione di alcune disposizioni del Regolamento penitenziario del 2000 attraverso la rimozione di quegli ostacoli che incidono su uno svolgimento della quotidianità penitenziaria conforme ai principi costituzionali e agli standard internazionali, prevedendone il miglioramento, che potrebbe realizzarsi senza l’aggravio dell’iter di approvazione legislativa, e dunque in maniera celere”.
Si parla di migliorare la quotidianità penitenziaria e le condizioni di vita in carcere, puntando l’attenzione su sei aree tematiche: diritti, lavoro e formazione professionale, salute, tecnologie, sicurezza, formazione del personale, che costituiscono da sempre un vulnus del sistema carcerario.
“Ora più che mai – conclude Ilaria Piccinno – serve con urgenza ridare dignità ai detenuti ed attuare i principi sanciti dalla nostra Costituzione, spesso lasciati fuori dalle fredde mura del carcere”.
di Francesca PASTORE
*Assistente Sociale – Giornalista Pubblicista – Socia Antigone Puglia
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Ultimo aggiornamento
15 Febbraio 2022, 18:59