Povertà, dignità e diritti

Data:
19 Maggio 2013

 

Il recente suicidio di due coniugi di Civitanova Marche provati dalle difficoltà economiche, a cui è seguito anche quello del fratello di lei, ha commosso e indignato molto perché ha reso manifesta la asprigna e attanagliante consapevolezza che la povertà e la disperazione in questo periodo di crisi economica non sono solo fatti statistici.

Ma un particolare mi ha colpito, nei lunghi resoconti di cronaca, ossia che agli stessi era stato consigliato di rivolgersi ai servizi sociali ma non l’abbiano fatto …per dignità!

Non so quanto sia addebitabile ai reportage giornalistici che spesso ripropongono cliché e immagini di una assistenza sociale riservata ai derelitti e a gente “senza dignità”, come se il welfare moderno non fosse mai decollato. Ma anche il “sentir comune” o le generalizzate convinzioni spingono a qualche considerazione su di noi.

Perché si reputa umiliante il ricorso ai servizi sociali?

In un esercizio di provocazione riflessiva, con autocritica costruttiva, occorre evidenziare che questo particolare momento storico sta trasformando anche l’identità del servizio sociale, spingendolo nell’angolo delle politiche sociali emergenziali e residuali, meramente assistenziali, di un contrasto alla povertà che si combatte con le armi spuntate di irrisori contributi economici (quando vi sono le risorse) o di una funzione di ascolto impotente perché la”forza delle parole” non cambia i magri bilanci familiari e non crea posti di lavoro.

Una funzione “lenitiva” o contenitiva del disagio e del malessere sociale assolutamente insufficiente e inadeguata. Una funzione che ha un grave effetto collaterale: assorbe, incorpora – e quindi dissolve – la figura dell’Assistente sociale, percepito dall’utente come terminale di quell’apparato pubblico che non è in grado di dare risposte utili e concrete.

Insomma l’Assistente sociale “perde il suo volto” per assumere le sembianze del burocrate,  artificiosamente empatico e per questo ancor più distante ed irritante.

E’ percepito come “schierato” con l’istituzione anziché con il cittadino, per il quale invece dovrebbe attivare sollecitazioni-progettualità di risposta al bisogno, individuale o collettivo, “provocando” la politica perché si riappropri della propria funzione di collegamento con  le domande reali di una comunità; un politica che sappia restituire chance di vita e prospettive.

Cambiamento del ruolo, col quale dovremmo fare i conti, o tradimento dell’identità e funzione storica del servizio sociale?

In un recente interessante convegno dell’Università del Salento, in occasione del World Social Work Day, con estremo piacere ho ascoltato un ammirevole lavoro di riflessione condivisa degli studenti dei corsi di laurea in Servizio Sociale – encomiabilmente seguiti e coordinati dalla collega Anna Maria Rizzo – sul tema dell’uguaglianza e dei diritti, che partendo dai dettami dell’art. 3 della nostra Costituzione hanno rivolto uno sguardo sensibile alle preoccupanti contraddizioni della realtà.

Riflessioni che hanno riportato il servizio sociale sul suo terreno (quello dell’ingiustizia sociale), nella sua peculiarità (l’essere dalla parte dei più deboli e bisognosi) ed essenza valoriale (della promozione dell’uguaglianza sostanziale).

Ecco, per recuperare una identità in crisi, forse sarebbe utile raccogliere la lezione-invito dei nostri futuri colleghi e ripartire dai Princìpi e dai Diritti.

Se sei interessato alla rivista “La Professione Informa” n° 15, pubblicata dall’Ordine regionale, puoi leggerla o scaricarla da qui.

Ultimo aggiornamento

16 Maggio 2016, 23:32