Chi tradisce la sanità pugliese?

Data:
15 Giugno 2012

Lettera aperta al Presidente Vendola

Ill.mo Presidente Vendola,

          da giorni leggiamo sui giornali le Sue affermazioni sulla “sanità che svolta”, “meno ospedalocentrica e ricostruita con una diffusa infrastrutturazione socio-assistenziale”, che vedrà “diminuire quello che è inappropriatezza in ricoveri e diagnostica e implementare invece i servizi socioassistenziali del territorio che costano molto meno e danno risposte più vicine alla vita e alla salute dei cittadini”.

A nome dei 3500 Assistenti Sociali di Puglia non posso che manifestarLe plauso e apprezzamento, condividendo un’ idea che è anche un modello organizzativo per il quale la Comunità professionale che rappresento si spende con abnegazione.

Tuttavia, Presidente, quanto succede sul territorio, ossia quanto  viene messo in campo dall’apparato tecnocratico a cui Ella ha affidato il compito di tradurre gli obiettivi politici in atti gestionali, contraddice le Sue parole.

In più di una circostanza (convegni, seminari, audizioni), presenti i dirigenti e funzionari regionali (ARES in prima linea) abbiamo ragionato su un modello di sanità che privilegia il territorio: Distretti socio-sanitari, Assistenza domiciliare, Consultori Familiari, Medicina generale di base, Centri di Salute Mentale, in una logica di intervento che si sviluppa integrando sociale e sanitario.

E’ vero, infatti, che c’è molta “domanda incongrua” che spesso impegna i servizi sanitari, specialmente quelli ospedalieri, con rilevanti costi a spese della collettività e che un “approccio sociale” consentirebbe  di correggere sul nascere.

Abbiamo anche guardato ad esperienze significative di altre regioni, come ad esempio il Veneto, che qualche mese fa ha adottato una delibera che impone agli studi associati di medicina di base la presenza di un Assistente sociale, onde consentire una anamnesi sociale di tutti i pazienti a rischio, con contestuale “fotografia” della rete familiare e delle risorse attivabili in caso di necessità: per evitare ricoveri impropri delle fasce deboli (anziani, disabili, bambini), per rendere diffusamente praticabili le cure domiciliari, per agevolare i processi di recupero.

Un intervento precoce del servizio sociale che consenta di prevedere tempi di trattamento medico ridotti, sia nella fase di urgenza diagnostica e terapeutica sia in quella postuma di dimissione-riabilitazione.

Appare superfluo ricordare quello che ormai ampia letteratura e casistica oggi documentano: la stretta interrelazione fra cura e legami sociali significativi, fra guarigione e automotivazione, fra terapia e sostegno emotivo.

Ma questi aspetti psico-socio-relazionali della salute ancor oggi vengono sottovalutati nella dimensione organizzativa e nelle pratiche di cura del nostro sistema sanitario.

Presidente Vendola, ma se è vero che Lei guarda a questa sanità, perchè non si accerta che le diverse articolazioni tecniche (ARES, Direzioni ASL) rendano concreto questo modello?

Chi sono i “funzionari infedeli” che non si adoperano in tal senso?

Le forniamo qualche informazione che forse non è stata adeguatamente sottoposta alla Sua attenzione:

– due leggi regionali, 25 e 26 del 2006, istituiscono il Servizio sociale distrettuale e aziendale per contribuire alla presa in carico globale dell’utente e per offire una risposta strutturata e complessiva ai bisogni di salute, garantendo l’integrazione socio-sanitaria delle prestazioni. Ad oggi nessuna ASL ha istituito e/o reso funzionante tale servizio;

– il recente Regolamento di organizzazione del Distretto Socio-sanitario, contravvenendo ai disposti della LR 25/2006, marginalizza e depotenzia il ruolo del Servizio Sociale professionale (ancora non istituito) declassandolo a servizio staff del direttore di distretto;

– molti Servizi territoriali come le Neuropsichiatrie Infantili o i Centri di Salute Mentale hanno equipe da tempo prive della figura dell’Assistente sociale ed oggi si limitano a diagnosticare o a fare mantenimento farmacologico-terapeutico, contravvenendo alle finalità di legge e sopratutto ignorando i bisogni dei cittadini fragili che a questi servizi si rivolgono;

– una proposta regionale (bozza linee guida) vuole riorganizzare la materia delle adozioni nazionali e internazionali, restituendo le competenze agli enti locali, con l’effetto di disperdere una consolidata esperienza multidisciplinare maturata nei Consultori Familiari (sempre più ambulatori ginecologici piuttosto che servizi per la genitorialità), ma sopratutto “scaricando” una mole di lavoro enorme sul Servizio sociale d’ambito già in affanno e largamente sottodimensionato.

E’ con rammarico che Le rappresento il disagio della mia comunità professionale che osserva la discrepanza fra la Sua vision politica e la gestione della sanità e del welfare pugliese.

Quest’Ordine professionale continuerà ad offrire il proprio contributo perchè ci si prenda cura del malato, non solo curando la malattia, ma spera che Lei ritenga ancora essenziale e sinonimo di buona politica la dimensione partecipativa.

Voglia gradire i nostri più cordiali saluti.

Bari 15 giugno 2012


Giuseppe De Robertis

(Presidente)

Ultimo aggiornamento

2 Ottobre 2017, 17:18