L'evento di giugno: Laboratori autobiografici
Data:
27 Luglio 2013
Una parola dopo l’altra, sin dal saluto iniziale del Presidente, Beppe De Robertis, procedendo nell’ascolto della relazione di Savino Calabrese, prima, e del prof. Demetrio, poi, nel convegno abbiamo assistito allo sdoganamento della fragilità, alla restituzione della fragilità alla sfera delle possibilità.
Per me, che ho partecipato ai tre laboratori organizzati a Bari, non nuova all’approccio autobiografico, nell’evento formativo del 25 giugno 2013 è stata sancita l’apertura di un nuovo varco, di nuove possibilità di stare, con dignità, presso le proprie fragilità imparando l’arte di conoscerle attraverso la scrittura di sé. Dare loro un nome ri-scrivendone la genesi, imparando come sono entrate nella trama della nostra vita, si impara il luogo dove abitano nella vita professionale, nella storia delle organizzazioni in cui si lavora, nel canovaccio di relazioni interpersonali che quotidianamente intessiamo.
Dalle proprie fragilità si può apprendere come tenerle in dialogo “quieto” con le fragilità di cui ci prendiamo cura imparando attraverso le prime la dignità delle seconde, e viceversa. Ri-conoscere le proprie fragilità, all’interno della propria identità emozionale, può essere con utile esercizio per esprimerle correttamente nutrendo la conoscenza generatrice di nuove chiavi di lettura e modificazioni dell’esperienza.
Attenzione e riflessività, avvinte in una ricorsività generativa, possono segnare la differenza delle nostre posture individuali, professionali, lavorative.
Attenzione e riflessività possono ri-generare il vocabolario delle parole possibili, dei dialoghi possibili, dei cambiamenti possibili, al netto di parole, dialoghi e cambiamenti che nei nostri luoghi di lavoro mancano da tempo.
Vi sono parole che non trovano concretezza, non hanno materia, non ancora!
Sono sovrastate dalla prepotenza delle parole della recessione, della spending-review, della produttività, della vacua efficienza o, semplicemente, sono assorbite dalle parole del potere, deriva autoritaria quando della complessità non si colgono più le coordinate di conoscenza, comprensione e gestione.
Stretti nella morsa dei freddi calcoli economici e dell’efficientismo, nei nostri luoghi di lavoro stiamo dismettendo l’identità delle comunità di pratica. Stiamo neutralizzando l’unione tra know-how e competenza, stiamo scotomizzando l’apprendimento delle comunità e nelle comunità. I pensieri organizzativi e i canali di dialogo stanno perdendo le traiettorie della trasversalità e della circolarità, a beneficio della fissità di meccanismi verticistici governati dal binomio “produrre e obbedire” o, se si preferisce, “obbedire e produrre”.
È nel copione di una sceneggiatura di tal fatta che, oggi con maggiore rilevanza etica, si articola l’interrogativo su quale sia il ruolo propulsivo di ognuno per affermare nei luoghi di lavoro “l’intelligenza del cuore”, una nuova coscienza emozionale a cui, è bene dirlo, soggiace la consapevolezza delle prerogative, dei diritti, della dignità, propri e degli altri.
In attesa che, a partire da ognuno, siano ri-scritte le sceneggiature dei servizi-luoghi di lavoro, la scrittura può nutrire nuovi flussi di pensiero, può generare parole in grado di lenire ma anche di esplicitare nuove responsabilità di cambiamento.
Non si tratterebbe di parole dotte, ma di parole-parole, tratti di un atto materiale, la scrittura, che lascia traccia nella storia delle nostre comunità e del nostro tempo.
le registrazioni video di alcune relazioni del convegno
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27 Luglio 2013, 19:45