Ricorre oggi, 26 agosto, il Women’s Equality Day – Giornata dei diritti delle donne, una ricorrenza americana per ricordare il 26 agosto 1920, quando negli Stati Uniti passò il diciannovesimo emendamento che diede il diritto di voto alle donne, a cui cinquant’anni dopo, nel 1970,  fece seguito uno sciopero per sottolineare le disparità che ancora c’erano anche nelle condizioni e nelle retribuzioni delle donne. 

A distanza di un secolo, è davvero ancora così importante parlarne, è necessaria l’istituzionalizzazione di una Giornata per ricordare i diritti delle donne e l’equità degli stessi con gli uomini?!

Tante, anzi troppe, ancora le disparità di trattamento legate al genere nell’accesso al mondo del lavoro o a cariche pubbliche e sociali, tanti i corsi di studio e le professioni riconosciuti come maschili a fronte di altri più prettamente femminili, tante le disparità di trattamento rispetto alle condizioni salariali, etc.

Ciò nonostante, però, le donne forse iniziano anche ad essere stanche di essere considerate come “soggetti da tutelare”: perché esiste il Woman’s Equality Day e non anche il Man’s Equality Day?! Perché esistono le “quota rosa”, ma non le “quote blu”, magari per l’accesso a contesti popolati in maggioranza da donne?!

 Una discriminazione nella discriminazione, una discriminazione positiva, ma comunque discriminazione basata sul genere.

L’auspicio, allora, è quello di un cambiamento culturale che, oserei dire, non guardi più all’uguaglianza uomo-donna, alla parità di genere, ma che parti dalle diversità e punti sulle stesse per valorizzarle e integrarle.

Le donne – e gli uomini al loro fianco – dovrebbero non volere più tutele normative per vedersi garantito l’accesso a cariche politiche, al mondo del lavoro e/o altri contesti sociali, ma solo il riconoscimento di una reale parità di diritti in grado di guardare alla persona come essere umano dotato di qualità e competenze specifiche, tanto che sia uomo quanto che sia donna.