Il “teatro” Mediterraneo e le tragedie della Storia

Data:
16 Giugno 2015

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Se il nostro Mediterraneo fosse un teatro, da troppo tempo avrebbe un monotono e assurdo cartellone, privo di ogni altra proposta, esclusa la tragedia.
Studiando la Storia antica, chiunque di noi ha dovuto imbattersi in affascinanti e misteriose civiltà (ancora oggi nei programmi scolastici) come quelle dei sumeri, assiri, babilonesi, fenici, ebrei, greci, egizi, persiani, cartaginesi, romani, …
La nostra scuola ci ha insegnato le “civiltà del bacino mediterraneo”.
E il concetto di “civiltà”, per molti di noi, ha richiamato filosofie, storie, epiche, arti, religioni e mitologie, linguaggi diversi. Ci hanno insegnato che a queste civiltà corrispondevano popoli, non solo potenti re ed eleganti regine, ma persone in carne ed ossa che hanno amato, sofferto, lavorato, inventato i cardini fondamentali delle civiltà attuali.
Spesso, nelle città dell’una e dell’altra sponda del Mediterraneo, sono ancora presenti le tracce urbanistiche e artistiche degli scambi del passato.
Certo, quelle civiltà e quei popoli non sono stati perfetti: da sempre, ciascuna generazione ha le proprie pene, le proprie sfide e le proprie battaglie da affrontare per dare un senso al suo posto nella Storia.
Tuttavia, almeno fino ad un certo punto, più o meno fino a mille anni fa, la Storia ha alternato alle tragedie diversi momenti di sviluppo economico, di progresso civile e culturale, di feste e di scambi.
Le tragedie le abbiamo iniziate noi europei, indubbiamente. E anche questa è Storia.
Noi europei, con gli italiani (o quelli che eravamo all’epoca) in testa davanti a tutti i cortei crociati.
Abbiamo avuto paura di una nuova religione appena nata aldilà delle rive del nostro Mediterraneo, ci siamo sentiti minacciati e siamo andati a combatterla nel nome del “nostro” Dio (ci dice niente, questo?…). Un Dio che, come accade nelle altre religioni monoteiste, si impone come “unico”.
Secoli di sofferenze inflitte a popolazioni inermi. Secoli di violenze imposte per costringere popoli interi a cambiare religione.
Poi altri secoli di sofferenze e violenze. Non più per la religione: questa volta per l’ingordigia e l’avidità di ricchezze naturali. Ancora tragedie.
Galeoni spagnoli e portoghesi, vascelli inglesi e francesi, enormi navi negriere americane che per secoli hanno invaso l’Africa e i popoli nati dalle antiche civiltà mediterranee, dove hanno attinto a piene mani carne umana per la tratta degli schiavi. Milioni di giovani uomini sani e intelligenti trascinati con la forza su quelle navi della vergogna comandate da noi europei. Milioni di bambini rimasti senza padre, con madri annichilite dal dolore e dalle conseguenze degli stupri e delle violenze.
Ancora una volta, sempre noi. Sempre noi europei (perché anche gli americani sono stati il prodotto della nostra violenza e delle nostre invasioni).
E poi ancora guerre e violenze, con i colonialismi. Con la pretesa, sempre tutta europea, di occupare e possedere non più solo popoli, territori e ricchezze naturali, ma addirittura le culture, i linguaggi, le arti delle popolazioni africane. Noi europei, nei colonialismi, abbiamo concluso la nostra opera tragica: ci siamo presi le anime, di quelle popolazioni. Tragedie dopo tragedie. Senza sosta. Senza mai calare il sipario. Da mille anni…
E voi, bambini e bambine, giovani donne e giovani uomini, voci disperate e malate della malattia della vita, una malattia che non vi abbandona mai, oggi osate varcare “il bacino mediterraneo” per vostra scelta, per la prima volta dopo mille anni.
Per la prima volta dopo mille anni nessuno vi viene a prendere con la forza. Anzi, l’Europa non vi vuole. Dopo avervi violati e sequestrati a milioni, oggi non sanno come respingere 20-30-40 mila di voi. In quale parte del nostro “Regno Europa” trasportare queste poche migliaia di “pacchi postali” che osano definirsi persone, malate di vita.
Voi che osate sognare che la tragedia possa un giorno trasformarsi in una rappresentazione normale e serena, come dovrebbero essere le vite di tutti.
Voi che state raggiungendo, ormai a migliaia, i vostri progenitori sui fondali del nostro “bacino mediterraneo”. Voi che non vi rassegnate alla tragedia.
Sappiate solo che noi europei non siamo tutti uguali. Che molti di noi sono dalla vostra parte.
Siamo quegli europei che non possono più concepire la scrittura solo sulla carta e senza internet, la parola solo diretta e senza telefono, la medicina senza la tecnologia, l’energia senza le risorse ambientali. La libera circolazione delle merci senza la libera circolazione delle persone.
Noi siamo quegli europei che uniscono le proprie voci alle vostre voci, quelle mute e quelle vive, per trasformare insieme le tragedie in un coro giusto e profetico: le tragedie, almeno per noi, sono finite. Perché non possiamo più tollerale, perché ne portiamo la memoria, perché ne difendiamo le ragioni, perché proviamo a combatterne le cause, perché ne testimoniamo l’ingiustizia.
Perché vi prestiamo le nostre voci, come si fa sempre in un coro, quando manca qualcuno.

Ultimo aggiornamento

28 Luglio 2015, 18:45